Quello che resta e sarà: parlano gli Incaricati alla Branca R/S

Un bilancio della Route nazionale? E’ ancora presto per farlo, certo. Ma alcune indicazioni da portarsi a casa, appunti e spunti per il futuro, ci sono. Oltre a mille emozioni, ricordi, sensazioni. Vale per ogni rover e ogni scolta, per ogni capo. Vale per ogni clan e per le intere Comunità Capi coinvolte nel servizio. Vale, a maggior ragione, per i vertici della Branca R/S. Abbiamo intervistato Elena Bonetti e Sergio Bottiglioni, Incaricati nazionali, e padre Giovanni Gallo, assistente generale della Branca. Ecco cosa ci hanno risposto.

Federico Stivani: Stanchi?

Elena Bonetti: Stanchi e con il senso del vuoto. Si è svuotato il parco di San Rossore e c’è tutto lo spazio per far decantare e valorizzare i volti dei 30 mila ragazzi. È il momento del campo smontato che va vissuto come un distacco. Smonti la tenda, la metti via, ti rimetti lo zaino e vai avanti.

Federico Stivani: Un nostro motto è “lasciamo il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”: cosa lasciamo qui a San Rossore oltre ai dromedari?

Sergio Bottiglioni: Qui a San Rossore lasciamo sicuramente il cuore, un pezzo di storia, uno stile nell’abitare un territorio, anche in tantissimi. Ho parlato con uno dei nostri che ha svolto il suo servizio al varco della Sterpaia, il punto più lontano del campo: mi ha riferito che uno degli abitanti gli ha detto: “Vi ringrazio e mi scuso a nome di tutta la comunità per i pregiudizi, per la paura del vostro evento”. Essere riusciti ad entrare in relazione con gli abitanti è la cosa più bella, da senso alla strada che abbiamo percorso.

Fedrico Stivani: Noi scout siamo abituati a verificare ogni progetto portato a termine. Cosa ci potete dire?

Elena Bonetti: Prima ci eravamo imposti di non dichiarare cosa la route sarebbe stata. Adesso il tempo della verifica presuppone un distacco che va completato: dobbiamo tagliare il cordone ombelicale che ci lega a questa esperienza. Sicuramente ci sono state tante cose perfettibili, ma il nostro punto di vista è ancora troppo interno. Verrà il momento in cui tutti saremo chiamati a valutare l’impatto metodologico, politico e associativo, economico, finanziari. Oggi non è il tempo di dire cosa è andato e cosa no. Oggi possiamo solo accogliere con un po’ di imbarazzo i ringraziamenti dei tanti rover e delle tante scolte ì per un evento scout che in fondo hanno fatto loro.

Paolo Piacenza: Per ciascuno di voi tre quale è il ricordo più bello ed il momento più difficile?

Sergio Bottiglioni: Siamo stati all’ingresso ad accogliere i ragazzi e abbiamo aspettato che l’ultimo andasse via. Il giorno dell’arrivo, vederci sfilare davanti migliaia e migliaia di ragazzi che arrivavano sfiniti dalle routes regionali perché avevano camminato tanto, perché avevano vissuto la prima parte della Route nazionale sulla strada, come avevamo chiesto, e vederli felici è stato bellissimo: si è materializzato in un fiume di persone tutto il lavoro fatto in questi anni. Poco dopo il momento più difficile: passavo per questo campo sterminato e vedevo una moltitudine che vagava: avevamo un po’ di tempo libero, chi si lavava, chi cantava, chi si spostava in massa… Ho avuto l’impressione che questa moltitudine fosse impossibile da governare, i quartieri non erano ancora completamente organizzati. Poi le cose hanno preso il loro verso e quella sensazione è sparita.

Elena Bonetti: Oltre a quello degli arrivi, per me il momento più bello è stato alla fine della cerimonia di apertura e di chiusura. Mi sono trovata davanti 30.000 ragazzi e mi sono sentita semplicemente un capo che parlava davanti alla sua unità, ho avuto la percezione netta di una comunità che però non era una platea. Eravamo lì come un grandissimo clan, non eravamo a guardare uno spettacolo. Il momento difficile è stato quello della prima sera, quando abbiamo avuto modo di confrontarci con gli Incaricati regionali: abbiamo raccolto la fatica organizzativa ed abbiamo capito lì che dovevamo mettere in evidenza alcuni aspetti, che ci si doveva parlare, comunicare per costruire il tutto. In quel momento è nato lo scatto positivo che ci ha fatto andare avanti.

Padre Giovanni Gallo: Al portale i saluti ci hanno regalato non una dimensione di massa, ma una dimensione personale, da brividi. Ho ancora dolori al mignolo a forza di stringere mani, ma il sentire quel continuo “grazie”… Ma grazie di che? Grazie a te che sei qui, che hai scelto di camminare su questi sentieri. Quanto al momento difficile, nessuno, ma l’idea una massa di queste dimensioni che si muove, lo dico da prete, questo “popolo in cammino”, fatto da espressioni diverse mi ha fatto sentire pieno di responsabilità, che non è singola ma grazie al cielo è condivisa, in particolare quella di dir qualcosa di significativo per questi volti. Storie diverse,un popolo variegato, composto da quelli in costume in fila alle docce, quelli in uniforme: un popolo che cerca una via per crescere.

Paolo Piacenza: Cosa va ricordato e cosa va lasciato qua, anche per evitare il rischio di uno scautismo come evento, mentre il nostro modello vive nella quotidianità?

Sergio Bottiglioni: Le cose finiscono, abituarsi alla fine è l’atteggiamento educativo da trasmettere. Non si può vivere nelle nostalgie di situazioni passate: abbiamo vissuto una situazione unica della quale siamo chiamati a fare tesoro, ma il nostro mandato ora è tornare nel quotidiano.

Elena Bonetti: Una eco che questa esperienza potrà avere, e speriamo che avrà, è un poter dire un “Noi ci siamo”, anche dalle piccole città, nei paesi. È stato importante consegnare la Carta del coraggio nelle mani del Presidente del Consiglio, del Presidente della Cei e di tutta l’Associazione, ma è altrettanto importante, anzi, lo è forse di più, che i ragazzi facciano altrettanto con i loro sindaci, con i loro vescovi.

Padre Giovanni: Non abbiamo vissuto un evento, come una Giornata mondiale della Gioventù: quelli sono eventi che vengono costruiti da un percorso e portano all’evento in sé. Noi abbiamo vissuto un incontro, lo si vede anche nell’insieme dei rapporti che si sono creati, fra noi, tecnici, membri del comitato e non solo. Questi ragazzi sono venuti qui per incontrarsi e ogni tanto fa bene, scoprirsi come popolo in Esodo verso l’esterno. La cosa bella è vedere questo Esodo che torna nelle singole realtà, l’immagine della Chiesa che è radicata in un singolo luogo ed è chiamata ad essere popolo di Dio, popolo in cammino. È questo che l’Apocalisse ci dice: siamo un popolo di salvati, chiamati a costruire la “città nuova”, la città santa, là dove viviamo, e ogni tanto trovarci lungo la strada e camminare insieme.

Federico Stivani: Vi aspettatavate una Carta del coraggio così come è uscita?

Elena Bonetti: Permettere il protagonismo dei giovani per degli educatori non vuol dire rimanere neutrali, l’educazione non è mai neutrale. Quindi la Carta del coraggio non poteva essere la scatola vuota del “liberi tutti”, bisognava entrare in questa relazione educativa ampia senza predefinire quello che è stato. Ma sull’autencità nessuno può avere dei dubbi, e questo ci sembra il risultato che volevamo ottenere. Nei registri usati per scriverla si vede l’alternanza di emotività, di concretezza, perché questi giovani sono persone tutte intere, con facce diverse che vivono di linguaggi, di relazioni, apparentemente contraddittorie, ma che loro non concepiscono come tali. In merito al contenuto, alcune prese di posizione un po’ ce le aspettavamo perché avevamo letto le loro storie, quello che avevano fatto, sapevamo che avrebbero avuto uno spazio pur non sapendo la posizione che avrebbero preso. La cosa della quale sono rimasta più colpita è stato il loro interesse per la partecipazione democratica dell’associazione. Assumiamo questo impegno che i ragazzi ci danno ma senza farlo nostro nel senso che è nato da loro e loro deve rimanere. Perché c’è tutta una associazione che ha i suoi percorsi che non sono il Consiglio nazionale dei rover e delle scolte.

Padre Giovanni Gallo: Lo strumento della route, inteso come cammino e strada, ha permesso un approfondimento maggiore anche del giudizio sulla realtà: dopo le routes la Carta è stata scritta con una consapevolezza via via maggiore, oltre all’entusiasmo folle per questi giorni. Sappiamo tutti che spesso si vive di slogan, di short stories, di short messages, invece l’indispensabile è entrare a far parte di una long stories, una storia più ampia, più lunga, non fatta di episodi, di puntate ma di una visione globale dell’insieme. Credo che gli alfieri, gli autori della Carta del Coraggio abbiano fatto questo tentativo. Poi dovremmo sicuramente confrontarci attorno a un tavolo. Ma questo è il passo successivo.

Paolo Piacenza: Senza fare un bilancio, ci sono già indicazioni utili per il futuro della Branca R/S?

Elena Bonetti: Questa branca ha parole identitarie, un po’ anche ancestrali come servizio, che oggi si coniugano necessariamente con la politica buona, perché il tema della scelta, un altro tema proprio della Branca, si coniuga con direzione e responsabilità. Probabilmente fra 15 anni sarà del tutto diverso: nel 1986 il tema della scelta era fondamentale, oggi forse sono state più importanti responsabilità e protagonismo.

Sergio Bottiglioni: Un’altra cosa che ci portiamo a casa sicuramente è stata la scelta di abitare il web, di usare questi strumenti di relazione che i nostri ragazzi abitualmente usano e che spesso sono avvicinati da noi educatori con timore. Abbiamo avuto il coraggio di approcciarli nel modo giusto che è quello di abbassarsi, un po’ come quando vuoi instaurare una buona relazione con un bambino. C’è tutta un’umanità, ci sono anche le cose fuori dal coro, non ci spaventano, non cerchiamo la perfezione, non dobbiamo curare l’immagine di un prodotto da vendere, dobbiamo fare educazione. Anche l’esperienza di Camminiamo Insieme sul web, penso aiuti a ripensare la stampa associativa, a evolversi a stare al passo con i tempi: nuovi modi di parlare, nuovi modi di stare insieme, nuovi modi di creare la relazione e di raccontarci.

Padre Giovanni Gallo: Dopo un po’ di tempo si perde la capacità di avere un linguaggio efficace. Io credo che l’incontro di questi giorni ci abbia aiutato a riscoprire un linguaggio educativo efficace nei confronti dei ragazzi, senza abbassare il livello. Come Branca R/S dovremo riprendere in mano questo aspetto, come pure rileggere il percorso del Noviziato. È un momento essenziale nella branca R/S, più ancora di quanto potevamo immaginare, è un momento di snodo profondo del nostro metodo. Una riflessione su questo è molto opportuna.

 

Federico Stivani e Paolo Piacenza

(In copertina la carta del coraggio – credit Francesco Mastrella)