Servizio, umiltà, obbedienza: il coraggio del One Team

La Route nazionale è finita e la città delle tende è svanita senza lasciar traccia. Questo è stato possibile in gran parte grazie al contributo dei capi del One Team. Abbiamo intervistato Donatella Mela, responsabile, e Alessandro Costanzo, vice responsabile del One Team.

Per far vivere una città serve un piccolo esercito, quali sono i numeri del One Team?

I capi iscritti erano circa 1000 e il quattro agosto ne sono arrivati poco più di 800. Sapevamo che dopo la cerimonia di chiusura, quindi dopo il dieci agosto, saremmo rimasti 197, ma siamo circa 155. Nonostante i numeri siano inferiori alle aspettative, il risultato è esattamente quello atteso.

Per quante ore hanno lavorato i capi volontari?

Finché il loro numero è stato sufficiente, abbiamo mantenuto i turni di otto ore di lavoro e otto ore di riposo. Da quando il numero di capi si è così ridotto, i turni si sono allungati a nove, dieci ore; qualche volta qualcuno ha dovuto coprire anche il turno di altri, raddoppiando il proprio. Noi, essendo fuori turno, abbiamo lavorato spesso fino a 20 ore di seguito.

Come ci si sente a chiedere ad un capo, che ha lavorato duramente fino a poco prima, di coprire un altro turno?

Non è complicato chiedere uno sforzo, se il lavoro da fare è necessario per la buona riuscita del campo. È molto complicato chiedere a qualcuno di faticare per un bisogno poco chiaro o confuso. Purtroppo può succedere, principalmente per problemi di comunicazione, che venga richiesto un intervento d’emergenza, quindi si debbano impegnare immediatamente alcuni capi, per un problema che, se fosse stato analizzato meglio, si sarebbe potuto risolvere facilmente. Questo è capitato spesso nel rapporto con le autorità civili.

Quanto, del lavoro fatto qui a San Rossore, è stato svolto da esterni e quanto dai capi del One Team?

Ad esclusione del montaggio e smontaggio degli impianti e dei tendoni, che, per motivi di sicurezza, viene effettuato da ditte specializzate, tutto il necessario alla sussistenza della città delle tende è stato svolto dai capi del One Team: dalla raccolta della spazzatura alla distribuzione dei pasti.

Dopo aver passato questi giorni a organizzare il lavoro dei volontari, avete un messaggio per loro?

Hanno dimostrato di volere molto bene all’Associazione e ai ragazzi, di credere nel progetto educativo dell’Agesci, con i fatti e più che con le parole. Marilina Laforgia, presidente dell’Agesci, mi ha detto: “li tratti come se fossero i tuoi figli”. Credo che sia una bella metafora. Io mi sono dedicata al One Team con cura; i volontari hanno accolto quest’attenzione e l’hanno trasferita sul campo.

Centinaia di capi, arrivati da tutta Italia, in pochi giorni si sono trasformati in una “macchina da guerra” continuamente al lavoro. Dove sta il segreto?

Credo stia nella fatica condivisa, che non ci ha lasciato nemmeno il tempo di capire la grandezza di quello che stavamo facendo. Ha trasformato un numeroso gruppo di persone da risorse umane a comunità.

Il coraggio per il One Team?

Per noi il coraggio si declina in servizio, umiltà e obbedienza e, soprattutto, flessibilità: quando si ha a che fare con questi numeri, la capacità di adattamento è un imperativo categorico.

 

Marco Lucà