Quando si parla di Verona, il primo pensiero che la città scaligera ci evoca non è legato alla tratta delle donne nigeriane, rumene e ucraine costrette tutte le sere a prostituirsi per strada. Eppure questa è la dura realtà che il clan del gruppo scout del San Donà 1 ha scoperto un sabato pomeriggio alla Casa Famiglia a Isola della Scala, una delle tantissime dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Qui ha incontrato alcuni operatori del progetto “Antitratta” della zona per un’intervista e con loro ha scoperto cosa significa “farsi ultimi”.
“Com’è andata ieri?” – chiedono i ragazzi del clan. “Eh… – esitano i due volontari – bene, nulla di particolare. C’è sempre molta tristezza, specialmente ieri. Abbiamo incontrato una ragazza ucraina che aveva avuto un quarto figlio, l’avevamo salutata prima di Natale, speravamo fosse riuscita a uscire da questo circolo vizioso. Rivederla in strada è stato scoraggiante… La bambina vive con la nonna ora”.
L’obiettivo del progetto è aiutare le ragazze vittime della mafia nigeriana che le vende a protettori del posto. “Bisogna lavorare sulla dignità: sono donne!”, sottolinea un volontario. “Molte di quelle che arrivano dalla Nigeria vengono ingannate e imprigionate in questo circolo tramite riti wudu, a cui credono fermamente data la loro cultura. Strappano loro capelli, unghie… Le convincono di essere legate a loro e le minacciano. Avranno un debito da saldare per tutta la vita.” Per riconquistare la libertà, dovrebbero pagare intorno ai 60mila euro.
Il clan scopre anche che il lavoro dei volontari prevede un’azione sul campo: dalle 23 in poi tutte le sere offrono un po’ di conforto alle ragazze di strada con del tè caldo e qualche parola che possa sostenerle. Ci sono molte ventenni, ma anche donne adulte. “Noi le chiamiamo ‘mamme-coraggio’ perché spesso sono disposte a condurre questa vita per garantire un futuro migliore ai loro figli”.
Ma cosa fare per prevenire tutto questo? C’è bisogno di sensibilizzare per fermare i traffici di esseri umani. Insomma, i ragazzi scoprono che ognuno può fare la sua parte. Ad esempio, la Casa Famiglia in cui sono ospiti accoglie i volontari quando terminano i giri notturni. “Ci piace pensare a questa Casa come a una dispensa di speranza” raccontano. Ormai è diventata un punto di riferimento sul posto per quegli “ultimi” che forse la società considerava già spacciati. Dietro a tutto questo c’è un famiglia, genitori e tre figlie, che hanno scelto la strada dell’accoglienza e, non senza difficoltà, ora possono dire di aver raggiunto la felicità. È bello pensare che possano essere di esempio per tutti noi nella loro scelta di vita, di giustizia, di farsi ultimi.
Silvia Nina Lo Castro