Alì ha ventidue anni, è pakistano. Vive a Caltanissetta da due anni, e da poco ha superato gli esami di scuola media con sette decimi, il secondo voto più alto della sua classe. Quando Alì parla, ti guarda negli occhi, e la forza del suo sguardo e delle sue parole riflette quella che ha dentro. Ci incontriamo di fronte alla chiesa di Santa Flavia, lui mi raggiunge a piedi. Per lui le salite della mia città sono sentieri tutti da scoprire. Gli dico che avrei dovuto intervistare una persona coraggiosa, e che, in particolare, ha avuto il coraggio di liberare il suo futuro. “E chi meglio di te, Alì?”. Lui ride.
Quando gli chiedo perché è venuto in Italia, mi racconta che quando era in Pakistan studiava all’università, presso la facoltà di economia. “Mi piaceva, ero contento – continua – Poi ho deciso di provare a fare il militare, ma non ho superato la prova fisica, perché non sono abbastanza alto. Così ho deciso di lasciare il mio paese. Non pensavo di arrivare qui in particolare. Volevo solo andare via dal Pakistan”.
Penso a queste frasi, a quanto siano simili a quelle che spesso sento anch’io dai miei coetanei. Forse Alì, invece, aveva qualche motivo in più per non restare. Procede nel suo racconto: “Sono arrivato in Iran, ma la polizia mi ha arrestato e rimandato indietro. Ho riprovato a raggiungere un’altra città, dalla quale sono partito verso la Grecia. Dapprima sono arrivato in Turchia, a Istanbul. Camminavo per dieci, dodici ore, a volte anche tutto il giorno, senza mai fermarmi, su per le montagne, su sentieri pericolosi, alcuni ragazzi che erano con me sono caduti giù. Una volta arrivati in cima, si doveva discendere ed era ancora più rischioso: sapevo che se avessi sbagliato una volta, tutto sarebbe finito. Alla fine, sono arrivato alla frontiera tra la Grecia e la Turchia. Lì a volte ci davano da mangiare, altre rimanevamo giorni senza cibo. Dopo 16 giorni di attesa, sono riuscito a partire con una nave che mi ha portato in Grecia. Una volta arrivato, ho subito cercato un lavoro. Sono rimasto un anno lì, vendendo la frutta, ma non mi pagavano abbastanza, e così ho deciso di ripartire”.
Durante il racconto di Alì, provo ad immaginarlo in carcere, su un barcone, affamato, senza soldi, senza affetti e in un paese che non conosce. Alì, continua: “Da Atene mi sono spostato in un’isola minore e da lì ho provato ad andar via insieme ad altri, quattro volte, con la barca. L’ultima volta siamo rimasti bloccati in mezzo al mare a causa del motore che non funzionava più. Quando chiamavamo la polizia greca, ci veniva detto che eravamo in acque italiane, mentre la polizia italiana ci diceva che eravamo in acque greche. Alla fine, la polizia greca ci ha arrestato. Dopo questo episodio, ho trovato uno scafista che mi ha fatto arrivare a Lecce. Lì sono rimasto in questura per due giorni, e poi mi hanno trasferito a Caltanissetta”.
Dopo un momento di silenzio, Alì, prosegue: “Quando sono partito, io non sapevo niente. Io pensavo che la strada fosse facile, ma è stata difficilissima. Ho imparato l’italiano in un anno. Mi sono dato da fare, cercavo di fare amicizia, di farmi conoscere per trovare un lavoro, così, adesso faccio il mediatore linguistico. Mi pagano abbastanza e sto bene qui! Sono felice! A me piace la Sicilia e mi piace Caltanissetta. Ogni giorno c’è qualcosa da fare, non ci si annoia mai, e la gente è sempre gentile”.
Gli chiedo cosa ha imparato, cosa ha capito da tutto quello che ha vissuto. “Sai, ho imparato che bisogna camminare con le proprie gambe. Quando riesci a far questo, allora, puoi imparare da tutto. Ma se tu deleghi agli altri, se tu stai seduto e lasci fare le cose agli altri, un giorno, le tue gambe non funzioneranno più. Ho imparato che quando non sai cosa fare, devi chiedere aiuto. Quando sai che la strada è giusta, devi andare dritto e non ascoltare nessun altro, se non te stesso, solo così troverai il tuo posto. Non avrei mai pensato di arrivare qui, di fare questo lavoro che mi piace. Sono felice”.
Gli chiedo se, potendo tornare indietro, sceglierebbe ancora di provare adessere felice qui. Mi guarda, senza pensarci un attimo mi dice “No, mai! Ma quello che è già passato non torna più!” e scoppia in una risata. Gli chiedo se si sente coraggioso. Raccoglie tutte le sue esperienze, i suoi naufragi, le sue lotte, le sue salite in montagne troppo ripide, i momenti che l’hanno segnato. Li raccoglie in un sospiro e mi dice: “Sì”.
Ylenia Vullo