Alfieri al lavoro, la 'danza' delle mani alzate

Lo vedi dalle mani alzate: si sollevano una dopo l’altra, di continuo. C’è voglia di prendere parola tra gli alfieri, i rover e le scolte chiamati a scrivere la Carta del coraggio. I gruppi di lavoro in cui sono suddivisi punteggiano qua e là la grande piazza del Coraggio al centro del campo di San Rossore che ospita la Route nazionale aperta e queste commissioni ‘all’aperto’ lavorano a pieno ritmo. Quello di venerdì,  il giorno in cui devono emergere i punti relativi al “ci impegniamo” per il Paese e al ciò che “chiediamo” all’Italia, allo Stato.

Per dirne una, “le persone che fanno volontariato ci sono e ci saranno sempre, ma se lo Stato non dà una mano, se non mette risorse, la situazione non può cambiare”, dice una ragazza con il fazzolettone  verde e rosso al collo. Di carne al fuoco pare essercene parecchia. “Non basta l’accoglienza delle persone svantaggiate, ci vuole anche una formazione professionale e concreta che arrivi fino a realizzare il loro inserimento sociale”, è l’intervento che viene subito dopo.

Sogni, speranze, ma anche disponibilità a rimboccarsi le maniche. Basta tendere l’orecchio dalle parti del gruppo che discute di cittadinanza attiva e politica. “Secondo me, bisogna mettere bene in evidenza l’importa del voto e dell’andare a votare; sempre e in modo oculato, in modo maturo dopo aver avuto informazioni e occasioni di confronto. Dobbiamo insistere sull’aspetto del voto responsabile”, dice in modo fermo un ragazzone alto biondo e con gli occhiali.

Route Nazionale

Si interviene a raffica sulla Carta del coraggio – Foto di Matteo Bergamini

Quasi di fronte a lui, parte subito una replica di un altro ragazzo: sono mondi d’Italia distanti che si incontrano; le ‘parlate’ lo fanno risaltare, ma anche i contenuti: “Ma per noi – dice questo rover – fare politica è essere cittadini attivi. Il voto è il culmine, cerchiamo di pensare prima a cose più terra terra, cioè a cosa possiamo fare noi per primi per migliorare la nostra città e la nostra terra”. S’inserisce un ragazzo di Bologna: “Forse prima non mi sono spiegato, ma dobbiamo anche scrivere esempi concreti di cosa potremmo fare noi e migliaia di altre associazioni in termini di cittadinanza attiva; mettiamoci proposte non solo teoriche o etiche, ma anche qualcosa di pratico in cui ciascuno di noi, già da domani, può impegnarsi senza perdere tempo e senza ‘palle’ burocratiche”.

Altrove si dibatte sulla distanza tra “Chiesa istituzione” e “Chiesa comunità” e ci si chiede: “Noi che siamo scout cattolici non dovremmo per primi arrivare a una profonda testimonianza della fede in tutto e per tutto?”. E uno subito rimarca: “Manco San Pietro ci riusciva”. E avanti così.

I gruppi di lavoro vanno avanti anche durante la pausa pranzo: sono stati costituiti per temi emersi durante i cammini in tutta Italia che hanno preceduto l’arrivo a San Rossore. Giovedì è stato il giorno della limatura al teso di bozza della Carta del coraggio, venerdì vanno trovate le ‘parole nuove’ del cambiamento da mettere nero su bianco. I “ci impegnamo” e i “chiediamo” saranno rimessi tutti in fila, sottoposti alla approvazione dei ragazzi prima che tutto il documento sia messo in votazione finale (sabato).

Lungo tutto il cammino della Carta del coraggio i ragazzi “hanno visto e individuato spazi di impegno e di ciò che serve, hanno definito cosa è il coraggio, ora devono dire  tutto quello che possono fare”, spiega una capo educatrice che coordina il lavoro di gruppo. Ci sarà anche spazio per un dibattito per mozioni se qualcosa risultasse ancora un po’ indigesto o migliorabile. Ma ormai l’ora x è vicina. Pare di capire che rover e scolte sfrutteranno fino all’ultimo grammo di margine di manovra che hanno: quando scriviamo i documenti – aggiunge la capo – vengono lì per assicurarsi che ci sia tutto, dicono ‘ci hai messo quella cosa lì? hai scritto quello che ti avevo detto?'”.

Mattia Cecchini

(Foto di copertina: il confronto nei gruppi lavoro sulla Carta del coraggio – credit Matteo Bergamini)