Incontro con Don Maurizio Patriciello
Don Maurizio, è vero che hai ricevuto minacce? «Alessa’, minacce, minacce… Diciamo che ho ricevuto dei consigli».
Il bello di don Maurizio è che lui è cosi, positivo nonostante tutto; anche nella difficoltà del suo impegno non perde l’ironia. Sorride e canta anche nelle difficoltà, si direbbe tra scout.
Lo incontriamo ad inizio settembre a Concordia Sagittaria (Venezia), dove è venuto a testimoniare ai giovani della parrocchia la rabbia, il dolore, la sofferenza per lo scempio ambientale provocato da migliaia di tonnellate di rifiuti tossici interrati e bruciati e per le troppe persone che continuano ad ammalarsi e a morire per di cancro, tra cui moltissimi bambini.
Eppure, dal suo racconto traspaiono soprattutto la forza che deriva dal compiere la propria missione, la possibilità di conservare la propria allegria, la speranza negli uomini e una immensa fiducia in Dio.
Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Na) è conosciuto come il prete della Terra dei Fuochi. Siamo nell’area che comprende svariati comuni tra le province di Napoli e Caserta, nella terra dei Casalesi, clan camorristico che prende il nome dal paese di Casal di Principe. Siamo in una terra martoriata, violata, stuprata.
Dagli anni ’90 ad oggi, una battaglia per la rinascita del territorio
Questa storia inizia negli anni ’90 quando il commissario di polizia Roberto Mancini (poi deceduto di cancro) inizia ad indagare sui rapporti camorra-industria-rifiuti.
Don Maurizio entra in seminario, a 28 anni, abbandonando non senza dispiacere una promettente carriera di infermiere: l’incontro fortuito con un frate francescano, al quale dà un passaggio in auto, lo riavvicina alla Chiesa, che aveva lasciato da adolescente. Vuole con tutto se stesso fare il prete, semplicemente, e per lungo tempo si tiene ben lontano dalle battaglie sociali e politiche. Finché una notte, viene svegliato dalla puzza nauseabonda che entra dalla finestra: guarda il Crocifisso e da lui riceve una nuova chiamata. Si mette al PC, sulle pagine di un social network descrive il suo profondo disagio: in tre ore riceve oltre 1000 risposte di persone da tutti i paesi limitrofi che come lui non possono dormire, non sanno cosa accade, vogliono fare qualcosa.
Inizia così la battaglia per la rinascita di una terra splendida, contro il crimine che l’ha avvelenata riempiendola di rifiuti industriali, sotterrati o bruciati. Una battaglia che è passata anche dall’incontro con il boss della camorra Carmine Schiavone che, inaspettatamente, lo invita a fargli visita, prima di morire.
«Furono le quattro ore e mezza più dure di tutta la mia vita» dice don Maurizio. Da questo incontro esce con la consapevolezza che dietro alla Terra dei Fuochi ci sono gli interessi delle industrie del Centro e Nord Italia che con la camorra si accordano per disfarsi di tonnellate di rifiuti tossici.
Da Nord a Sud, il viaggio mortale dei rifiuti tossici
La camorra, grazie alla “collaborazione” con gli insospettabili in giacca e cravatta, scopre un metodo per fare tantissimi soldi senza rischio alcuno. Ogni dieci camion di rifiuti urbani che valicano le porte delle discariche ce n’è uno che contiene “oro”. Oro, sono gli scarti industriali che devono essere smaltiti e che fruttano alle casse della camorra ottimi affari.
«Don Maurì, non siamo stati noi a cercare loro, ma loro a cercare noi», dice Schiavone, dove con il “noi” intende il sistema dei clan camorristici (i Casalesi in particolare) e con il “loro” intende gli industriali del Centro e Nord Italia. È un pugno in pieno viso quello che don Maurizio ci testimonia: pugno alle coscienze che si credono pulite ed estranee al mondo della criminalità organizzata, desiderose di scaricare le colpe e le responsabilità su altri; coscienze che ancora oggi hanno difficoltà a credere che i sistemi mafiosi non abbiano limiti geografici e siano dilagati ormai anche nel Centro e Nord Italia.
Qui, a Concordia Sagittaria, don Maurizio ci ricorda che nella sua terra arrivano anche i rifiuti tossici del Veneto o delle concerie di pellame della Toscana, per fare solo un paio di esempi. Perché non si riesce a sistemare le cose, a salvare questa terra, don Maurizio? «Alessa’, perché non si vuole».
Ancora oggi, dopo oltre vent’anni di scempio, i rappresentanti delle Istituzioni scelgono di non calcare troppo la mano su queste tematiche per non rischiare di chiudere le fabbriche e creare altra disoccupazione: si sfregia il diritto alla vita e alla salute di migliaia di persone con il pretesto di garantire il sacrosanto diritto al lavoro.
Non si può morire di lavoro, tuona Padre Maurizio. Per usare le parole dello scrittore (napoletano) Erri De Luca a proposito di un’altra tragedia ambientale, siamo all’asservimento di un territorio a una speculazione dichiarata, per meglio abusarne, un asservimento strategico.
Una scelta di comodo?
Un concetto che don Maurizio spiega continuamente a ministri, presidenti del Consiglio, prefetti, presidenti della Repubblica, presidenti di Regione. Tutti sono consapevoli di cosa stia accadendo e tutti sanno che quel modo di seppellire e bruciare rifiuti porta morte: nell’area il tasso di malati di tumore è del 47% più elevato che nel resto d’Italia. Sono ancora pochissimi i medici che ammettono che l’altissimo tasso di incidenza dei tumori in questa zona è causato dal versamento nel terreno di sostanze tossiche nocive per l’uomo e dai roghi dei rifiuti. Per non parlare di altissime cariche istituzionali che hanno dichiarato che questi tassi percentuali sono riconducibili agli scorretti stili di vita (fumo, cattiva alimentazione, alcool).
La legge 68 del maggio 2015 è la prima legge italiana che punisce chi commette reati ambientali ma don Patriciello ci dice candidamente che il percorso legislativo è stato osteggiato (per arrivare poi all’attenuazione della stessa legge) dai vertici di associazioni di categoria che sono arrivate a definire quella legge anti industriale e anti storica, come se l’Uomo fosse stato creato servo dell’industria e non viceversa.
Rivoluzione o dialogo
Alcuni giovani della sua terra, ci dice amaramente don Maurizio, lo rimproverano di essersi raffreddato, di stare troppo con le istituzioni, di non sbattere sufficientemente i pugni. «Avete ragione» risponde lui. «Ma io conosco solo due modi per cambiare le cose: la rivoluzione o il dialogo. Io per ora ho scelto il dialogo».
Si può scegliere di camminare nel mondo come vagabondi o come pellegrini: don Maurizio ha scelto la seconda opzione che richiama alla responsabilità di costruire relazioni e seguire fino in fondo la propria chiamata:
«S’ pò campà senza sapé pecché ma nun s’ pò canpà senza sapé pe’ chi.».