Quanto è distante da noi la guerra? Siamo a conoscenza della portata del commercio di armamenti? Chi ne prende parte? Il nostro governo permette e regola tale mercato?
Semplici domande a cui non corrispondono tuttavia semplici risposte: la situazione attuale è ben più complicata e per comprendere a fondo la questione occorre approfondire l’iter del commercio delle armi in Italia.
Partiamo da una prima questione: in Italia
è legale la produzione di armamenti e la loro commercializzazione con Stati
esteri?
La risposta è sì. L’export di armamenti in Italia raggiunge un valore pari a
poco più di 5,2 miliardi di euro nel 2018, come pubblicato il 13 maggio sul
sito della Camera dei Deputati nella Relazione governativa a riguardo. Tutto
ciò è legale, infatti la Costituzione consente la produzione e la vendita di
armamenti ma, come cita la Legge 9 luglio 1990, n. 185 all’art. 1, queste
esportazioni “devono essere conformi alla politica estera e di difesa
dell’Italia” e dovrebbero essere regolamentate “secondo i principi della
Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali”.
L’effettiva vendita necessita quindi dell’autorizzazione dello Stato; la transazione
avviene tramite le banche, che agiscono da garanti nello scambio tra venditore
e acquirente ricevendo una percentuale di commissione.
Ora che sono state identificate le parti in causa è interessante vedere come la legge regoli lo svolgimento di queste operazioni.
Negli ultimi anni le norme sono state modificate frequentemente a scapito della trasparenza sui reali scambi commerciali. Infatti la Relazione 2018 del governo Gentiloni sull’export di armamenti non ha ripristinato la chiarezza sulle operazioni svolte dalle banche: “non solo non ha reintrodotto l’elenco dettagliato delle operazioni bancarie (scomparso dal 2008 senza alcuna giustificazione al Parlamento), ma invece dell’elenco delle ‘Operazioni Autorizzate’ riporta anche quest’anno solo quello delle ‘Operazioni segnalate’, quelle cioè che ogni anno svolge ogni banca, ma che non permettono di risalire all’intera operazione autorizzata” [banchearmate.it, 2018].
La situazione così risulta poco chiara e a scurirla ulteriormente vi è la testimonianza di un comunicato della Rete italiana per il Disarmo, che attesta: “il risultato è evidente: gli affari “armati” dell’industria a produzione militare italiana si indirizzano sempre di più al di fuori dei contesti di alleanze internazionali dell’Italia, verso le aree più problematiche del mondo”. Questa situazione non corrisponde a quelle ammesse nella L. 185/1990, il cui art. 6 sancisce: “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite […]; b) verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”.
Oltre a ricavare profitti dalle commissioni di garanzia, alcune banche concedono legalmente prestiti e finanziamenti ad aziende che producono armi. Ora, al di là delle opinioni etiche personali, è evidente che nella legislazione attuale manchi la trasparenza necessaria a rendere i cittadini consapevoli della destinazione dei loro capitali depositati nelle banche. Noi cittadini abbiamo il diritto di essere consapevoli delle conseguenze che possono avere i nostri investimenti e abbiamo il dovere di informarci in merito.
Quindi noi cosa possiamo fare?
Le principali possibilità per far sentire le nostre voci a riguardo sono due: il primo strumento è il voto, tramite il quale esprimere la propria idea riguardante la legislazione vigente, scegliendo formazioni che propongono una maggiore trasparenza; il secondo consiste nel pretendere di ottenere informazioni dalla propria banca sugli investimenti fatti con i nostri soldi. Questa seconda possibilità è sostenuta dalla campagna “Banche armate” guidata da Mosaico di pace, Missione Oggi e Nigrizia, che dal 1999 invitano i risparmiatori a scrivere alle proprie banche per chiedere di rinunciare a trarre profitto dall’esportazione di armi e rifiutare il finanziamento di queste operazioni.
Clan Fenice
Gruppo Vago 1 – Vago di Lavagno (VR)