Sei libero, ma ti senti libero?

Clan Fenice, Gruppo scout Vago 1°

La libertà è un concetto che noi consideriamo imprescindibile, è un nostro diritto potremmo dire; eppure soffermarsi a riflettere sul nostro stato di libertà porta alla luce una serie di dubbi ed interrogativi: è così scontata la libertà di cui ci vantiamo rispetto ad altri popoli o parti del mondo? Fino a che punto siamo coscienti di essere liberi e fino a che punto invece ci sentiamo liberi?

Ovviamente a molte delle domande che sorgono una risposta univoca non c’è: ognuno ha una percezione diversa della propria libertà; e sondare in profondità questo tema sfocia ineluttabilmente in una discussione filosofica che non è invero obbiettivo di questo articolo.

Queste domande ce le siamo poste anche noi, sono sorte in relazione al capitolo che abbiamo deciso di approfondire quest’anno, ovvero il movimento scout clandestino delle Aquile Randagie.

Andiamo con ordine, chi sono le Aquile Randagie?

Quando nel ’27 del secolo scorso il regime Fascista emana le “leggi fascistissime”, decreta la chiusura di tutte le forme associative giovanili, ad eccezione dell’Azione Cattolica Italiana (ACI). Nel giro di qualche mese, tutti i reparti scout sono costretti a cessare le attività e a deporre i guidoni: l’unica forma associativa giovanile legittimata dal regime era l’Opera Nazionale Balilla (ONB). Alcuni scout, però, continuarono a riunirsi in tutta Italia, anche qui a Verona. Tra tutti i gruppi clandestini il più celebre fu di sicuro quello delle Aquile Randagie, nato a Milano nel ’29: si costituì intorno alle figure di Giulio Cesare Uccellini e Andrea Ghetti, che in codice si facevano chiamare Kelly e Baden, e continuò le proprie attività di nascosto, soprattutto in Val Codera, nonostante aggressioni e intimidazioni.

La pagina più importante della loro storia verrà scritta durante il conflitto mondiale: si tratta della Missione O.S.C.A.R. o Opera Scout Cattolica Aiuto Ricercati. Durante questa operazione segreta, il gruppo delle Aquile Randagie contribuì a più di 2160 espatri in Svizzera e stampò più di 3000 documenti falsi.

Abbiamo raccolto diverse testimonianze, tra cui quella di Bruno Rossi, uno scout che ha vissuto quel periodo nella realtà veronese e ce l’h a raccontata. L’esclamazione univoca, alla fine, è stata: “che coraggio hanno avuto, nonostante rischiassero la pelle, di lottare senza armi per la libertà loro e altrui. Ne sarei in grado?”; ma se noi oggi formalmente SIAMO liberi, ci sentiamo altresì tali? Cos’è che ancora ci limita?

Forse è una domanda-specchio di un’inquietudine generale, specialmente in un periodo di pandemia come questo in cui siamo privati di tante piccole libertà che davamo per scontate nella nostra vita; forse no: comunque sia, non esiste un’unica risposta a questa domanda, ce ne siamo resi conto non appena abbiamo iniziato a discutere. Anche se stabilissimo dei sistemi entro cui articolare il confronto, come abbiamo provato a fare, comunque si arriverebbe a parlare di casi singolari, di quello che ognuno sente necessario o indispensabile per la sua libertà. Almeno su questo eravamo d’accordo tutti. L’intento non è quello di riassumere il nostro confronto, perché se fosse stato di qualcun altro forse sarebbe diverso. Spesso, tuttavia, sentiamo le stesse esigenze degli altri, come quella di non essere costantemente giudicati; oppure tendiamo ad accettare passivamente le situazioni che man mano ci si presentano, scegliendo paradossalmente di non esercitare la libertà.

Alla fine, abbiamo capito che affrontare ciò che ci opprime è l’unico modo per sentirsi più liberi, ma anche che, se ci si ascolta e rispetta, si può stare meglio con chi ci sta intorno.

Probabilmente la parte più importante della domanda non sta nella risposta che ci siamo dati, ma nel confronto che ne è venuto fuori: ha portato alla luce diversi limiti, imposti sia da noi stessi che dall’esterno. Spesso, infatti, la libertà è più sottile di quanto appare, non ce n’è una più valida delle altre e solo confrontando le proprie necessità si può, insieme, essere più liberi.