Il dialogo intergenerazionale

don Armando Matteo

 

È tempo di amare

Quando al presente il pensiero corre al tema del “dialogo intergenerazionale”, il punto di partenza non è mai particolarmente incoraggiante. Ci troviamo in un contesto culturale in cui le differenze tra le generazioni tendono, infatti, a scomparire, con grave danno proprio per rapporto tra di esse.

Se da una parte è vero che, forse per la prima volta nella storia, sono presenti al mondo contemporaneamente 5 o addirittura 6 generazioni, distinguibili dal punto di vista dell’anno di nascita (I Grandi Vecchi, i Boomers, la Generazione X, la Generazione Y, la Generazione Z, la Generazione Alfa), è pur vero che, almeno tra le generazioni che stanno al centro – parliamo dunque degli adulti e dei giovani –, le classiche differenze generazionali tendono a sfumare sino quasi ad annullarsi.

Si pensi solo al modo in cui si vestono giovani e adulti, alla maniera in cui parlano giovani e adulti, agli oggetti di culto dei giovani e degli adulti, ai posti dove mangiano e si recano in viaggio i giovani e gli adulti ed altro ancora. Tutto questo non è una buona notizia per il dialogo intergenerazionale. Meglio ancora, tutto questo non è una buona notizia per il mondo giovanile.

Esiste, infatti, una legge della vita che è essenziale per il destino buono della specie: ogni società ha bisogno dell’apporto specifico e non surrogabile dei giovani, i quali, grazie alla loro forza e alla loro freschezza, possono introdurre novità che migliorino il rapporto degli umani con l’ambiente circostante.

Detto in soldoni, quando i giovani possono fare i giovani (cioè migliorare il mondo), tutti ne guadagnano. Quando i giovani non possono fare i giovani, tutti ci perdono. Ed il punto è che c’è un’unica e semplice condizione che può consentire ai giovani di fare i giovani e questa unica e semplice condizione è che gli adulti facciano gli adulti e i vecchi facciano i vecchi.

Ecco lo snodo problematico del nostro tempo: gli adulti e i vecchi non hanno alcuna intenzione di fare gli adulti e i vecchi. Vogliono restare giovani per sempre. E rubano lo spazio di azione a coloro che giovani lo sono per davvero!

Da questo punto di vista, si comprende molto bene, per esempio, perché in tante occasioni i giovani appaiano essere semplicemente assenti dalla scena della pubblica partecipazione. Penso qui in particolare al discorso delle elezioni politiche. Avvertono come non mai che la nostra è diventata una società adultocentrica che li fa sentire sempre di più inessenziali, costringendoli non raramente ad un sentimento di fondo di grande depressione. Se si tiene poi conto del divario demografico tra le generazioni la cosa appare ancora più grave. Nel nostro Paese, gli adulti sono tre volte di più dei giovani!

Sintetizza bene le cose papa Francesco: «Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse».

Da questo punto di vista, emerge la necessità di aiutare gli adulti a passare al più presto dal loro amore per la giovinezza ad un autentico amore per i giovani, per i giovani veri, ritornando così ad essere veramente quello che debbono essere: adulti, cioè traghettatori di vita.

 

Don Armando Matteo è teologo e sottosegretario aggiunto alla Congregazione per la Dottrina della fede.
È anche autore di numerosi libri sul mondo giovanile e la formazione.