Vi siete mai chiesti cosa sia una casa circondariale? Quali differenze sussistano tra carcere speciale, carcere minorile e casa di reclusione?
Noi, ragazzi del gruppo scout di Cinisello Balsamo 3 abbiamo scelto di approfondire ogni tematica che riguardasse l’ambiente penitenziario, realtà a molti sconosciuta. Abbiamo deciso di farlo vivendo delle esperienze concrete, a stretto contatto con persone che hanno vissuto questo tipo di realtà.
Questo breve articolo si prefigge come intento di condividere quanto abbiamo potuto apprendere sulla realtà delle carceri. Per riuscire nell’intento, vi racconteremo alcune delle esperienze che abbiamo vissuto.
Kairos:
Teatro Mediglia, 9 marzo 2018, i ragazzi della comunità Kairos si mettono in gioco su un palco. Chi con una canzone, chi recitando, chi attraverso le parole di una lettera, racconta la propria vita prima di entrare in comunità. Il titolo dello spettacolo era “Non esistono ragazzi cattivi”, dove “cattivi” ha una doppia accezione: quella comune di “malvagio, crudele” e quella etimologica, dal latino “captivus” prigioniero. I ragazzi ci hanno fatto capire proprio questo: sono prigionieri, ma non cattivi, sono ragazzi che hanno sbagliato, perché sono stati educati in modo sbagliato, ma ora ne sono consapevoli e vogliono cambiare. “Non esistono ragazzi buoni o cattivi, esistono ragazzi più fortunati e meno fortunati. Non possiamo decidere da dove veniamo, ma possiamo decidere chi saremo”, dice uno di loro. Questo è quello che lo spettacolo ci ha fatto capire: ogni carnefice, prima di essere tale è stato anche vittima, che non esiste un “volere il male”, ma un “non conoscere il bene”. L’occasione (kairos in greco) per farlo è la comunità: occasione per rieducarsi, per vivere insieme ad altre persone, per conoscere e comprendere nuovi valori.
Lo strappo:
La sera del giorno 16 marzo 2018 ci siamo recati presso il teatro del carcere di Opera per assistere all’evento “Lo strappo”, organizzato dal “Gruppo della trasgressione” e da “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Lo scopo di questo evento, come si può evincere dal nome, è quello di analizzare e comprendere i motivi che soggiacciono alla creazione di quello strappo che si viene a creare nella società, ma anche nella vita delle vittime e dei carnefici, qualora si verifichi un reato.
Dopo aver lasciato all’entrata i nostri pregiudizi, addentrandoci all’interno del carcere ci siamo subito resi conto di essere entrati in un contesto quasi surreale, in cui viene a mancare qualsiasi senso di autonomia e di libertà: le porte presenti in una stanza non si aprono mai contemporaneamente e vengono aperte dalle guardie carcerarie elettronicamente, non si può circolare all’interno di qualsivoglia ambiente carcerario senza essere scortati. Vige un silenzio tombale, un’atmosfera di attesa. Mi sarei immaginata di incontrare omoni alti 2 metri, coperti di tatuaggi e cicatrici, aspettative figlie dei tanti film americani in cui i carcerati sono solo delle masse di muscoli che passano il tempo a combattere contro i “secondini”. Ma così non è stato. Ho cercato a lungo con lo sguardo i famigerati carcerati, questi bruti, ma ho trovato solo uomini. Ho scrutato il loro viso, cercando nei loro volti qualche tratto che tradisse il crimine commesso, ma ho trovato solo volti assonnati, barbe rasate, rughe, occhiaia, capelli bianchi. Alcuni di loro sono padri di famiglia, altri fratelli, nonni, tra loro c’è anche un disabile sulla carrozzina. Spesso, siamo portati a pensare che il male, seguendo i canoni classici, sia rappresentato da uomini demoniaci e mostruosi, e per questo motivo rimaniamo basiti nell’osservare che in realtà il male è rappresentato da uomini piccoli, “normali”, ai quali si potrebbe, a prima veduta, attribuire qualsiasi aggettivo o attributo fuorché assassino, omicida, ladro o mafioso. Tutti i mostri sono umani, ma soprattutto che sono uomini che con le loro scelte, indubbiamente sbagliate, sono stati portati a negare la loro stessa umanità. Sono anche vittime, non solo carnefici.
Tra i relatori presenti sul palco c’erano anche degli ergastolani. Loro stessi non si definivano per nome e cognome, ma per reato e pena, per scelte sbagliate, per rimorsi e colpe. Tutto questo si rifletteva nelle loro stesse azioni: non stavano fermi un attimo, porgevano il microfono ai relatori da una parte all’altra del palco, allungavano i fili per permettere agli altri di parlare, se un microfono si spegneva o non funzionava erano i primi ad intervenire per cercare di risolvere la situazione. Ogni loro gesto esprimeva un’impellente urgenza di fare del bene, di rimediare ai danni fatti, una colpa logorante, la pesante consapevolezza di essere dei mostri.
on ciò non si intende giustificare le azioni commesse da questi, ma comprendere che esiste un’umanità che ha bisogno di essere ritrovata per mezzo di percorsi educativi attuati dentro e fuori dal carcere. Probabilmente alcuni di loro non realizzeranno mai realmente quanto male hanno fatto, alcuni avranno delle ricadute, altri apriranno gli occhi e vivranno per tutta la vita con un rimorso lacerante, con la consapevolezza di aver spezzato delle vite, di aver impedito un futuro migliore ai loro parenti più prossimi, di aver bruciato e compromesso incontrovertibilmente la loro stessa vita.
È facile commentare l’ennesima tragedia con un “sarebbe da sbattere in cella e buttare via la chiave”, lavandosene le mani, è difficile trovare del bene in questi uomini, ma non impossibile. Come affermava Socrate, non esiste il male, ma l’ignoranza del bene.
Messe:
Monza, 29 Aprile 2018, casa circondariale. “Lasciate gli oggetti metallici”, una delle prime voci al nostro ingresso. Una cinta muraria rinchiudeva il carcere, le sbarre erano ovunque quasi da farci sentire prigionieri anche noi. Riprendiamo il respiro entrando nella cappella, unico luogo dove non aveva spazio il senso di colpa e di soffocamento. Pian piano la stanza si affolla. Alcuni detenuti ci salutano stringendoci la mano, dopo aver baciato la statua di Gesù. La messa comincia, le nostre voci intonano “braccia aperte per ricevere chi è solo”, in fondo era questo il nostro ruolo. Volevamo cantare, perché era l’unico modo per avvicinarci a loro. Sentendoci osservati non sapevamo a chi rivolgere lo sguardo, ma ecco che quando incontravamo il loro ci rendevamo conto di quanto fosse per loro importante essere lì. Anche per il prete era importante, le sue provocazioni scuotevano gli animi dei carcerati e la loro commozione scuoteva i nostri. Torniamo a casa in silenzio, ma il rumore era nella nostra testa, un rumore di riflessioni sulle persone che avevamo appena incontrato e su Chi avevamo incontrato attraverso queste persone.
Exodus:
L’estate scorsa abbiamo avuto l’opportunità di vivere un’esperienza di 5 giorni all’interno della Comunità Exodus di Cassino (FR). Exodus è un associazione no profit fondata da Don Antonio Mazzi con l’obbiettivo di agevolare il reinserimento sociale di coloro che sono caratterizzati da un passato di tossico dipendenza, forte disagio sociale i quali vengono spesso accolti in comunità come regime alternativo al carcere.
Abbiamo trascorso un’esperienza a pieno contatto con ragazzi di età compresa tra i 16 e 25 anni (circa), affiancandoli in ogni momento della giornata, dalla cura dell’orto, al governo degli animali, al mantenimento della struttura, ai pasti e alle varie attività ricreative. La quotidianità ad Exodus ci ha fatto toccare con mano le difficoltà di queste persone; ci ha permesso di abbattere ogni pregiudizio, scoprendo che dietro alle loro scelte, si nascondo persone in difficoltà che hanno bisogno di essere considerate, aiutate e comprese. Abbiamo potuto ascoltare in prima persona storie legate all’ambiente penitenziario, ma che spesso, invece di tutelarli e rieducarli, ha contribuito a complicare il loro già travagliato vissuto.
Siamo tornati a casa con dubbi ancora irrisolti e forse con più domande di quante ne avessimo prima: come si può evitare che i valori sbagliati vengano trasmessi di padre in figlio, ed evitare che questi influenzino fortemente la vita dei figli? Quale potrebbe essere un modo per rieducare a pieno i ragazzi che commettono questo tipo di errori? Cosa potremmo fare noi, nel nostro piccolo e quotidianamente per sconfiggere il male?