Clan della Luna, Gruppo scout Padova 7
L’acqua è fonte di vita ed è necessario che sia accessibile a chiunque: un’affermazione che sprona a garantire entro il 2030 l’accesso universale all’acqua pulita e potabile e adeguate condizioni igieniche con particolare attenzione alle persone più vulnerabili.
È con queste parole che il 25 settembre 2015 l’Onu riaffermava con forza la necessità di impegnarsi per salvaguardare il diritto all’acqua: parole che ispiravano fiducia mettendo in rilievo la centralità dell’emergenza idrica, un problema serio, da sempre molto sottovalutato che si ripercuote sulla vita di milioni di persone nel mondo. Eppure, nonostante l’appello lanciato 5 anni fa, sono stati decisamente pochi i passi avanti in termini di sensibilizzazione e presa di consapevolezza sul tema; è giunto dunque il momento di analizzare e approfondire la questione “emergenza idrica”, di gettare luce sui suoi aspetti critici e contraddittori, di comprendere come l’acqua sia diventata oggetto di dispute internazionali sempre più aspre che coinvolgono sempre più paesi e che gravano innanzitutto sulla pelle delle persone che all’acqua spesso non accedono. Per riflettere su questo risulta indispensabile chiedersi:
L’acqua è un diritto garantito o un bene conquistato?
Siamo abituati a considerare l’acqua come un bene che consumiamo regolarmente senza darci troppa importanza, ma ce lo possiamo davvero permettere?
Per dare un’idea un po’ più chiara sulla quantità di acqua che quotidianamente utilizziamo è sufficiente citare qualche numero:
241 sono i litri mediamente consumati al giorno da un italiano;
2500 sono i litri consumati all’anno da un individuo solo per lavarsi i denti;
11.500 sono i litri di acqua per produrre un chilo di carne bovina in Italia.
Leggendo questi dati si ha inevitabilmente la percezione che l’acqua sia una risorsa illimitata e sempre a nostra disposizione, ma per una vasta parte della popolazione mondiale ciò non è così scontato. Nel corso della storia, l’acqua è sempre stata alla base di conflitti che negli ultimi anni sono andati sempre più intensificandosi. Se, come detto, l’acqua è un “diritto fondamentale”, sinonimo di “diritto alla vita”, è impensabile che ci siano grosse fette di popolazione che si vedono questo diritto negato: questo non solo per la scarsità delle risorse di cui dispongono ma soprattutto a causa dei conflitti che nascono per il monopolio dell’acqua. Ed è effettivamente così: le guerre per l’acqua non sono più solo una minaccia per il futuro ma la drammatica realtà che coinvolge milioni di persone di svariati paesi. Basti pensare al bacino del Mekong dove Laos e Vietnam lottano per l’approvvigionamento di acqua impeditogli dalle dighe cinesi. Consideriamo più nello specifico il caso del bacino del Nilo, che vede come parti in causa Egitto, Sudan ed Etiopia.
Le tensioni tra questi stati hanno un’origine abbastanza recente, in quanto fino alla seconda metà del ‘900 lo sviluppo economico dell’Egitto era tanto superiore a quello degli altri due Stati da escludere questi dalla gestione del bacino. Già nel 1959 un accordo tra Egitto e Sudan (significativa la totale esclusione dell’Etiopia) regolava la spartizione delle acque fra i due Paesi pur con una sproporzione che tutelava maggiormente gli interessi dell’Egitto. Nei decenni successivi Sudan e Etiopia decollano nel loro sviluppo economico e demografico acquistando un crescente peso politico a livello internazionale: cosa comporta questo? Gli equilibri all’interno del bacino si muovono, Sudan e Etiopia, a monte del fiume, diventano abbastanza forti da far valere i propri interessi senza soccombere a quelli dell’Egitto, che, in quanto a valle, viene inevitabilmente a trovarsi in una posizione svantaggiosa: le politiche di gestione idrica dei Paesi a monte condizionano la portata del fiume a valle. La data spartiacque è il 2015, anno in cui l’Etiopia inaugura la costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance Dam sita sul Nilo Azzurro, il principale affluente del fiume.
La presenza della diga e il suo utilizzo costituiscono per l’Egitto un fattore di grande preoccupazione per la sopravvivenza economica del Paese che trova nel proprio territorio solo un 5% di terra coltivabile; a causa della diga la diminuzione del flusso d’acqua del solo 2% causerebbe la perdita di 83mila ettari di terreno fertile. All’interno di questo contesto gli interessi dei tre stati sono difficilmente conciliabili e questo determina una situazione di tensioni internazionali dalla complessa risoluzione.
La situazione quindi è critica: la rotta verso la risoluzione dei conflitti è ardua e piena di scogli. Numerose sono le cause delle guerre per l’acqua: l’instabilità sociopolitica, la difficoltà dei paesi a garantire ai cittadini uno stile di vita soddisfacente, i cambiamenti climatici cui è legato l’aumento della siccità con il conseguente impoverimento dei fiumi.
Dal momento che il mondo è un sistema comunicante e non un insieme di realtà isolate, questa terna di cause non interesserà più solo le singole realtà già coinvolte in questo tipo di conflitti; questo modello si può presentare ovunque, anche molto vicino a noi. Per questo motivo dobbiamo entrare nell’ordine di idee che quella di cui abbiamo parlato è una crisi con cui avremo a che fare molto presto.