Fotografie di scena del film Aquile Randagie, 2019, di Matteo Bergamini.
QUELLI CHE VOLANO IN ALTO
di Gaia Moretti, Sceneggiatrice di Aquile Randagie
Val Codera, Casera/Brasca, 1 agosto 2018, esterno giorno. Siamo qui, siamo arrivati. Siamo saliti in elicottero, portando su la troupe “leggera”, di 20 persone, il minimo indispensabile, gli attori già vestiti, tutto il più leggero possibile. E ora sul prato della Casera c’è un set allestito davanti all’alzabandiera, con i ragazzi della branca R/S del Firenze 5 che indossano l’uniforme ASCI: sono le nostre comparse per la scena di oggi. Appena i due attori fanno il saluto scout scoppio a piangere, ma pure il regista, la costumista, la scenografa e l’operatore non è che stiano tanto meglio.
Mi vengono in mente così tante cose, oggi. Tipo: “Ma chi ce l’ha fatto fare? Perché abbiamo deciso di imbarcarci in questa cosa impossibile, mettendoci soldi, tempo, anima. Imparando da capo un mestiere che non ho mai fatto?”. Poi mi rispondo che dovevamo.
Quanti di voi conoscono la storia delle Aquile Randagie? Beh, probabilmente tutti. Ma degli altri, comprese le persone con cui sto lavorando, nessuno, o troppo pochi… prima che arrivassimo noi a raccontarla. Quelli bravi, quelli che fanno cinema da tanto tempo, dicono che le storie non si dovrebbero raccontare per motivi etici, o per passare i “messaggi”, ma che si devono raccontare le storie che il pubblico vuole. Ecco, io credo di non essere d’accordo. La storia della resistenza delle Aquile Randagie è patrimonio di tutti, deve essere patrimonio di tutti, ma finché lo scoutismo rimane, nella mente dei più, solo la storia del ragazzo che aiuta la vecchietta ad attraversare la strada, sarà difficile. E allora quale modo migliore del cinema per raccontare una cosa vera, bella, e poco conosciuta?
Qualcuno mi ha detto anche, in questi mesi: “Perché fare un film quando c’è già un documentario?” È una domanda che ci ha perseguitato fin da quando abbiamo deciso di scrivere la sceneggiatura. E la risposta è almeno duplice. Da una parte, perché il documentario è “per grandi”, mentre il nostro film vuole essere per ragazzi, vuole parlare il loro linguaggio (anche se è quello di ottant’anni fa!), vuole far vedere loro come noi ci siamo immaginati fossero quei ragazzi in quegli anni lì: vuole cercare di dar voce ai ragazzi, perché i protagonisti della Storia, quelli che hanno avuto il potere di cambiarla, sono stati loro. Dall’altra ci piace pensare che abbiamo raccontato la storia di un gruppo di eroi. Gli eroi al cinema sono quelli della Marvel, certo, ma pure le Aquile Randagie. Ce le abbiamo, le nostre avventure, fatte di ragazzi che scelsero da che parte stare, e il cinema può raccontarle. Non le racconterà con la precisione storica del documentario, ma potrà invece avvicinare qualcuno ai documentari, qualcuno che andrà a cercare se “è proprio vero tutto quello che ho visto?”. Il 30 settembre saremo nei cinema. E io ripenserò un’altra volta a quel momento in cui tutto sembrava impossibile e dirò ad alta voce: “Tiè, IM di imPOSSIBILE!”
Buona strada.
SCOUT: OBBEDISCI E BASTA
di Vittorio Cagnoni, Storico dello scautismo
Tra i vari “improperi” così i Balilla e gli Avanguardisti vincolavano il giovane Scout nel 1926:
“Le buone azioni, come le azioni di guerra, non si trovano a mezzo: portale fino alle estreme conseguenze… Un milite, e un fascista in ispecie, non deve essere pacifista. Per te la guerra deve essere come il pane…
Il saluto, il ‘Signor sì’, l’attenti, il presentat’arm, ecc. sono l’essenza della vita militare perché ti creano un carattere: quello di sapere ubbidire, per poter poi comandare… Balilla, Avanguardista, Fascista, non discutere i comandi del tuo superiore, mai quelli del Duce… E ringrazia ogni giorno devotamente Dio, perché ti ha fatto Italiano e Fascista”. Ed altro ancora! A questo punto il giovane Scout doveva schierarsi: accettare questo metodo “educativo” fascista o scegliere altro. Il giovane Capo Riparto del Milano II, Giulio Cesare Uccellini, poi Kelly, questi “improperi” proprio non poteva accettarli e si ribellò! Diede origine alle Aquile Randagie: un gruppo che, negli anni dal 1929 al 1945, accolse oltre 150 persone di Milano, Monza, Parma che rifiutarono un’educazione di violenza e di odio. Con notevoli difficoltà, dato che lo scautismo era soppresso, svolsero, imperterriti ed in maniera ortodossa, tutte, proprio tutte, le attività del metodo presentato nel libro Scoutismo per ragazzi del generale Baden Powell. Uscivano da casa con la divisa nello zaino e, quando sicuri di non essere visti, clandestinamente svolgevano le Uscite, i Campi estivi, invernali, di S. Giorgio durante tutte, sì proprio tutte, le domeniche e le feste dell’anno beffandosi dei fascisti e, durante la guerra, anche dei tedeschi.
L’attività svolta in quel gruppo portò alla formazione di caratteri e personalità che furono vagliate dal fuoco distruttivo della Seconda Guerra Mondiale. Nei campi di concentramento e nella Resistenza essi diedero testimonianza di una formazione morale e spirituale di notevole spessore e riconosciuta da amici e nemici.
UN SELFIE CON LE AQUILE RANDAGIE
di Emanuele Locatelli, Admin di Fedeli e Ribelli
Cosa significa oggi essere “fedeli e ribelli”? È la prima domanda che ci poniamo accostandoci alla storia delle Aquile Randagie.
Kelly e i suoi hanno saputo resistere a un contesto di indottrinamento e propaganda che ha plagiato una moltitudine di persone. Nelle loro testimonianze, le ultime AR dicevano:
“è più difficile riconoscerlo ma esiste anche oggi un pensiero dominante, un clima di subdola persuasione, che ci strozza con guanti di velluto”. Quali sono i condizionamenti di oggi?
Viviamo la dittatura dell’apparenza. Corpi tonici, chirurgia estetica, depilazione permanente. Ci mettono a disagio i nostri “inestetismi”? Ci piacerebbe avere un naso meno pronunciato, un seno più prosperoso, addominali scolpiti? Quanto ci capita di guardare gli altri con invidia? Ci pesa il loro giudizio?
I nuovi media amplificano le sirene del consumismo, i “suggerimenti” commerciali. Quanto siamo attratti da quello scooter, da quelle scarpe? Ciò che indossiamo o possediamo ci gratifica? I nostri acquisti sono indotti? Quanto, dal denaro, siamo sedotti? A chi domandava “come diventare persone libere?” Don Giovanni Barbareschi rispondeva: “Sei libero dal tuo cellulare?” Quanta vita ci prende lo smartphone? Ci capita di dipendere da messaggi, notifiche, like? Quali profili seguiamo? Chi sono i nostri influencer?
Lasciamoci influenzare dalle AR e dedichiamo più tempo ed energie a ciò che ci rende davvero felici!
Buona Strada!
Articolo tratto dal numero di Camminiamo Insieme del luglio 2019 intitolato “SCHIERARSI“, pp. 28-31.