Delitto…e castigo?

Clan Lungo Sentiero, Gruppo scout Cormano 1

Delitto…e castigo?
Per un Capitolo sulle forme di giustizia in Italia

Dopo aver vissuto un campo di servizio sull’isola di Nisida, carcere minorile di Napoli, abbiamo scelto di approfondire il tema riguardo al carcere italiano attraverso il Capitolo.
In un primo momento abbiamo trattato le problematiche presenti nell’attuale sistema penitenziario e nella vita quotidiana dei detenuti, come la mancanza di vita affettiva, il difficoltoso accesso al diritto all’istruzione e al lavoro e le ulteriori privazioni a cui i detenuti vengono sottoposti in seguito all’emergenza sanitaria da COVID-19.

Da questo è nata la domanda centrale del nostro capitolo: qual è la differenza fra la giustizia retributiva e giustizia riparativa?
La giustizia retributiva, forma attualmente presente in Italia, si fonda sull’idea di punizione come conseguenza del reato, ponendo al centro la violazione della legge e affidando alla vittima solo un ruolo marginale.

La giustizia riparativa, invece, si basa sull’idea di riabilitazione e pone in primo piano la Persona (vittima e autore di reato) e la Comunità.
Lo strumento che caratterizza la giustizia riparativa è la mediazione: vittima, colpevole e Comunità civile vengono coinvolti solidalmente nella ricerca di una soluzione. Questa mediazione viene condotta da figure professionali che, attraverso il dialogo e la sospensione di un giudizio personale, permettono di instaurare un confronto.

Nell’ambito della giustizia riparativa quindi il reato non viene considerato in termini puramente formali, bensì in termini esperienziali, di danno alle persone.

Tuttavia, la mediazione non rappresenta una sostituzione ai processi giuridici, ma si pone come obiettivo il raggiungimento di un equilibrio tra le due parti per aiutare le persone a tornare a vivere e riacquistare la fiducia che avevano perso. Abbiamo avuto la possibilità di incontrare due professioniste della mediazione che ci hanno raccontato e aiutato a comprendere questo mondo ancora così poco conosciuto dalla società civile.

Oltre ad aver affrontato il tema della giustizia riparativa, in un secondo momento abbiamo approfondito anche la realtà delle misure alternative alla detenzione.
Nel nostro territorio del Nord-Milano, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza di Casapace Milano, un’associazione di promozione sociale, nata nel 2000 dall’incontro di diverse organizzazioni locali già esistenti con decenni di esperienza nel campo della promozione della pace e la gestione nonviolenta dei conflitti.

Casapace ha realizzato un documentario (Alternative al Carcere. Il Documentario. Testimonianze per lo sviluppo di una Giustizia Riparativa) finalizzato a informare il pubblico riguardo queste misure, le loro implicazioni e gli effetti positivi per la società.

Nel documentario vengono mostrate alcune modalità che lavorano parallelamente o in alternativa alla pena detentiva in carcere. Tra queste vi è la messa alla prova, che permette al reo di scontare la condanna svolgendo delle attività per associazioni di pubblica utilità.
Dunque, Casapace ha l’obiettivo di rendere queste opzioni una realtà sempre più concreta affinché si ampli la rete di attori nel panorama delle alternative al carcere italiano.

L’utilizzo di queste modalità ha dimostrato che la recidiva (la ripetizione di un reato da parte di chi è stato in precedenza condannato con sentenza irrevocabile) dei condannati che hanno preso parte a queste attività, è del 50% inferiore rispetto a chi ha scontato la propria pena esclusivamente attraverso la misura detentiva.

Grazie al nostro Capitolo, dopo esserci informati e aver partecipato attivamente ad alcuni incontri insieme a mediatori della giustizia riparativa, abbiamo compreso innanzitutto, quanto sia importante la possibilità di diversa modalità di risoluzione del conflitto: reo e vittima, infatti, non sono obbligati a confrontarsi. E soprattutto abbiamo scoperto che, seppur con prospettive e intenzioni differenti, è possibile applicare modalità molto simili anche per i conflitti di tutti i giorni: l’ascolto empatico, alla base di qualsiasi tentativo di mediazione e confronto, può essere un buon modo di porsi in qualunque discussione e la giusta partenza per la risoluzione di un conflitto, anche in clan!

Naturalmente ci portiamo a casa anche nuove esperienze, conoscenze, nuovi punti di vista e riflessioni da applicare nella nostra vita quotidiana. Apparirà banale, ma è sempre bene tenerlo a mente: questo percorso ci ha anche ricordato che i detenuti non sono solo numeri ma persone con una propria dignità che va rispettata e tutelata. E le possibilità per farlo non mancano.

 

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